Marianna Chianese (Febbraio 2003)

Marianna Chianese (Febbraio 2003)

Il tempo è di Dio, e Dio è eternoE’ la prima cosa che si impara giungendo in Africa soprattutto per chi proviene da una civiltà totalmente diversa e da un mondo regolato dagli orologi, dal marcatempo o dai cellulari GSM.

Desideravo da tempo fare un’esperienza in Africa e finalmente ho avuto quest’opportunità grazie alla Comunità delle Suore Orsoline S.C.G.A
. che hanno attualmente varie missioni in Tanzania. Sono stata ospite presso la missione di Mkiwa e per una settimana all’ospedale di Itigi, nel cuore del Paese, ovvero al crocevia della strada internazionale che collega Tanzania, Burundi, Ruanda e Kenia…avete presente l’Africa, è da ripassare un po’ di geografia. E’ la zona più povera del Paese, situata su un altopiano a 1000 metri la cui popolazione, dedita all’agricoltura e alla pastorizia, deve la sua sopravvivenza allo scarso periodo di pioggia di dicembre e gennaio. Arrivati in Africa, se in qualche modo ci si vuol rendere conto della realtà (raccontata da altri o da chi vi sia già stato sembra una favola), bisogna spogliarsi della nostra concezione “tutto uso e consumo” tipica occidentale e lasciarsi andare da ciò che l’ambiente e le persone del posto offrono, che può sembrare davvero poco, ma essenziale.

Essenziale è la seconda parola che ho imparato! Il superfluo, inteso come gesti, parole, beni di consumo che mi circonda nella realtà in cui vivo, in questa povertà, è tutto. E’ impossibile sprecare, se non c’è altro.

Lo stesso atteggiamento sicuramente si riflette anche in situazioni più drammatiche come possono esserlo la carestia, la fame, la malattia o la morte. Mi hanno sorpreso tanto i bambini malati di AIDS delle due comunità di Dodoma (Suore Orsoline e Suore Adoratrici del Sangue di Cristo): noi adulti eravamo consapevoli e coscienti del loro stato di malattia, ma in nessun caso questo trapelava dai loro volti sereni. Il gioco e i banz sono stati il linguaggio universale con cui abbiamo comunicato (anche grazie all’ausilio del “magico” pallone e di tanta fantasia!) I bambini sono desiderosi di apprendere, di fare, di imitare, di imparare il più possibile. Andare a scuola, possedere un quaderno o una matita è considerato non solo un privilegio, ma un bene prezioso: “il peso della cultura”!…;infatti non essendoci la televisione e i giornali, tranne nelle poche e città-villaggio (5 o 6 al più), la scuola è l’unico luogo dove si possono apprendere notizie che vanno oltre il proprio villaggio. Ho visitato le capanne , costruite davvero con fango ed acqua ed incredula ho notato l’arredamento: una zucca per l’acqua, uno sgabello, la legna sotto una latta, un mwiko (cucchiarella di legno), un letto e due fili di spago. Il “folletto” sarebbe davvero inutile! Eppure c’è tanta serenità e l’ospite, nonostante la povertà, è sempre il benvenuto “karibuni” al posto di offrirgli le poche cose che hanno a disposizione. Grazie al pozzo della Missione, il villaggio ha la risorsa di acqua che fatta bollire, è potabile e ciò significa riduzione di malattie e maggiore sopravvivenza per i bambini, coadiuvata anche dalla campagna di prevenzione che si tiene al dispensario verso le neo-mamme e le donne in attesa, al fine di seguire lo stato di salute (peso e crescita) dei bambini fino ai 5 anni. La terza cosa che ho imparato è stata che in Africa tutto è di proporzioni gigantesche: le distanze, il tempo, le piante, i frutti, la forza della preghiera. Ad esempio la stella di Natale, tipica pianta da appartamento, a Mkiwa è un albero! Ma nonostante gli incontri ravvicinati con i serpenti, le iene e altre creature tipiche del posto, nulla mi ha generato un po’ di ansia quanto la mancanza di luce nei posti bui la sera. L’incognito e il dubbio, soprattutto dell’anima, creano forti disagi e la Luce illumina e rende tutto più chiaro. Ringrazio la comunità di Sant’Albina e  tutti coloro che generosamente sostengono la Missione e che mi hanno accompagnato con le loro preghiere in questo mio primo “viaggio in Tanzania”…l’appuntamento sarà per la prossima…volta.

Marianna Chianese

Scauri, gennaio/febbraio 2003